Le foto icone della Storia: colui che fermò i carri armati
Era il quattro Giugno 1989, nel mondo soffiava forte un vento di cambiamento. I governi statalisti cercarono di bloccare questi moti che partivano dall’interno, in alcuni casi come in Cina, riuscirono a rallentarli in altri, leggi Unione Sovietica, no. Venticinque anni fa, oggi, l’Esercito cinese soffocava nel sangue le manifestazioni degli studenti in piazza Tienanmen di Pechino, ponendo fine a sei settimane di lotta. Le proteste erano iniziate nel mese di aprile. La legge marziale fu dichiarata il 20 maggio, le truppe si mobilitarono, e dalla notte del 3 giugno alla mattina del 4 giugno, l’esercito iniziò una repressione violenta avvalendosi di carri armati e blindati, schiacciando alcuni manifestanti e sparando su molti altri. Il numero esatto di quanti persero la vita non si conosce, ma le stime variano da alcune centinaia a diverse migliaia. Negli anni passati e ancora oggi, censori cinesi stanno bloccando l’accesso a Internet ai termini “sei quattro“, “candela“, e “non dimenticare mai“, per mettere a tacere l’anniversario del sanguinoso massacro del 4 giugno.
C’è una foto che è rimasta nella Storia e che credo ognuno di noi, anche non esperto, ha ben presente. Uno scatto che racconta, che raccoglie nella sua semplicità l’essenza del fotogiornalismo, la sintesi di quella giornata. L’autore di questa icona della Storia è il fotografo americano Jeff Widener dell’Associated Press.
Vale la pena ricordare come riuscì ad ottenere questa immagine. Arrivano le notizie da Pechino, si capisce che le manifestazioni possono degenerare da un momento all’altro. E’ impossibile ottenere un visto giornalistico per entrare nel paese. Jeff, che si trovava in Thailandia, trova una piccola agenzia di viaggio disposta ad aiutarlo. Ottiene un visto turistico ed arriva a Pechino con le macchine fotografiche ben nascoste. Trova una camera al Jangao Hotel e poche miglia dalla Piazza Tienanmen, affitta una bicicletta e inizia a muoversi tra soldati e dimostranti.
Durante gli scontri viene raggiunto al petto da una grossa pietra. La macchina fotografica che porta al collo si distrugge nell’impatto, ma gli salva la vita. Si rifugia nell’Hotel Beijing frequentato da stranieri. Lì la fortuna batte alla sua porta, incontra un giovane studente americano che ha una camera al sesto piano da dove si ha una perfetta visuale della strada. Jeff monta un potente teleobiettivo e inizia a scattare l’arrivo della colonna di carro armati. Improvvisamente compare quel ragazzo e si mette davanti al panzer e si sposta a destra e a sinistra seguendo i movimenti del carro. E’ una figura piccola, in maglietta nera e calzoncini bianchi con due sacchetti di plastica in mano. Il tank si ferma, spegne il motore. Un uomo solo, un ragazzo senza armi ha vinto contro una colonna di blindati da guerra. Jeff scatta l’immagine che entrerà nella storia.
La foto venne fatta con una Nikon, un 300 mm, su pellicola Fuji. Come fare a portarla all’ambasciata? Chiese allo studente se se la sentiva di rischiare la vita e portarla per lui. Accettò. Se la mise nelle mutande, inforcò la bicicletta e arrivò all’ambasciata. Sembra la trama di uno spy film, invece è tutto vero. I negativi raggiunsero gli Stati Uniti e il servizio completo venne pubblicato sulle pagine di Time.
Del guidatore del carro armato si sa che venne di lì a poco arrestato e giustiziato, mentre il ragazzo che lo fermò è rimasto sconosciuto così come la sua sorte.
Una storia che fa riflettere sul fotogiornalismo di ieri e di oggi. Senza fare alcuna sterile retorica a pochi giorni dalla morte in Ucraina di Andrea Rocchelli, molto è cambiato, ma resta l’importanza del ruolo del bravo fotografo che, rischiando la vita, racconta la Storia.
Buona Luce
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