Perché oggi è meglio non essere bravi fotografi.
Sto leggendo un libro molto interessante, ‘Dopo la fotografia’ di Fred Ritchin, che analizza talvolta con delle conclusioni piuttosto preoccupanti il futuro prossimo venturo della fotografia dopo l’avvento del digitale. E’ un libro del 2009 e in molte sue parti si è rivelato anche profetico. Devo dire che non bisognava essere particolarmente veggenti per capire dove saremmo andati, ma leggere che era stato previsto 5 anni prima fa un certo effetto. ‘Siamo entrati nell’era digitale. E l’era digitale è entrata in noi. Non siamo più gli stessi individui di un tempo. In meglio e in peggio. Non pensiamo, parliamo, leggiamo, ascoltiamo, vediamo più allo stesso modo. E non scriviamo, fotografiamo, né, addirittura, facciamo più l’amore allo stesso modo’.
Tutto è cambiato e, mentre nell’era analogica l’essere bravi, l’avere una visione personale dello scatto era una prerogativa imprescindibile per avere visibilità e lavoro, oggi non è più così. I tempi per conoscere lo strumento ‘macchina fotografica’ si sono decisamente accorciati – in pochi mesi si apprende la tecnica che necessitava anni di esperienza in passato – e se sai smanettare in programmi di fotoritocco e hai un minimo di ‘occhio’ tirare fuori uno scatto interessante è relativamente poca cosa.
Siamo nell’era dell’immagine. Ogni giorno i social network vengono invasi di fotografie, i siti internet sono sempre più dinamici e ci permettono di vedere il lavoro dei nostri colleghi stando semplicemente seduti davanti al computer. Non c’è più bisogno di comprare libri o visitare mostre – anche se l’emozione di vedere una foto stampata è ben altra cosa che vederla sul freddo monitor di un portatile – per conoscere il portfolio di un fotografo. I quotidiani on line hanno, a corredo degli articoli, immagini di grandi fotografi internazionali così come i blog o i magazine: L’Espresso, Internazionale, Newsweek, Time, New York Times, solo per citarne alcuni, hanno tutti l’edizione virtuale.
Se questo da un lato ha fatto sicuramente bene alla fotografia – il livello medio è decisamente cresciuto – dall’altro ha creato una sorta di omologazione – salvo poche eccezioni – sia nella post produzione che nell’inquadratura e questo ha pesantemente standardizzato il mondo dell’immagine. Tale fenomeno ha raggiunto dei livelli a dir poco imbarazzanti, ma mentre nel fotogiornalismo o nella fotografia documentaria quello che fa la differenza è ancora oggi la notizia che ci sta dietro al servizio, nella fotografia di matrimonio no. Assistiamo a delle copie veramente ben fatte che niente hanno da invidiare all’originale dal quale dicono – anche se spesso se ne assumono la paternità – di essersi ispirati.
Il problema della copia nel matrimonio non è di poco conto, credetemi. Tante volte nei miei workshop e nelle letture portfolio ho sottolineato come sia importante avere un proprio stile. Uno stile che nasce anche dal mettere se stessi nello scattare. Come dice Ansel Adams il fare fotografia è la sintesi di tutte le immagini che abbiamo visto, di tutti i libri che abbiamo letto, di tutta la musica che abbiamo ascoltato, di tutte le persone che abbiamo amato quindi è lo specchio del nostro essere più intimo. Ogni foto è nostra e ci appartiene perché riflette noi stessi.
Mentre ritengo che sia sempre importante avere una visione personale dello scattare non so più se questa sia fondamentale per far crescere la propria attività, anzi. Mettiamo da parte le considerazioni di ordine etico sulle quali ho già avuto modo di scrivere in passato e veniamo quindi a valutazioni più commerciali. La Fotografia di matrimonio a differenza di altre tipologie di foto non ha uno storico alle spalle, non ci sono degli scatti iconici ai quali fare riferimento, non c’è un cliente da fidelizzare nel tempo (one shot talvolta due, raramente tre), non ci sono dei fotografi che sono entrati a fare parte della cultura popolare. Se parlo di Steve McCurry anche i non addetti ai lavori sanno che è un fotografo e che tipo di fotografia fa, se poi faccio vedere la foto di Sharbat Gula, meglio nota come ‘la ragazza afgana’ allora sono veramente pochi quelli che non l’hanno vista. Se qualcuno facesse vestire una giovane dagli occhi verdi con lo stesso drappo rosso in testa, vestito analogo e luce equivalente tutti direbbero che quello scatto è una copia e non riuscirebbero a venderla a nessuno. Purtroppo questo nella fotografia di matrimonio non vale. I nostri clienti iniziano a guardare foto di cerimonia soltanto nel momento in cui decidono di sposarsi. Ormai il fotografo di paese non è più il punto di riferimento della coppia. Salvo alcuni casi particolari – l’aver visto un album di amici ad esempio – nella loro ricerca del fotografo si affidano a internet. Vedono la gallery e il portfolio e poi decidono eventualmente di contattarlo. Ovviamente le foto che hanno davanti sono il biglietto da visita del fotografo e nessuna coppia si pone il problema se quello scatto è una copia di qualcun altro e tantomeno hanno la cultura – direi ampiamente giustificata in questo caso – di associare quella particolare foto o stile ad un fotografo più o meno noto. Ecco il bug, ecco perché chi copia crea un profondo danno commerciale. Uno si sforza di mettere tutto se stesso nelle foto, crea un suo stile frutto di anni di lavoro, studi, prove, soldi spesi in workshop, letture e seminari e quant’altro necessario per essere dei bravi professionisti e basta un bravo copiatore, per di più esperto di marketing, perché tutto questo venga vanificato. Una volta feci un esempio riportando la frase che mi disse un orologiaio che era contento perché si vedevano in giro delle copie dei suoi orologi. Questo lo rendeva orgoglioso perché voleva dire che i suoi prodotti avevano raggiunto la notorietà e si sentiva bravo. Purtroppo nella fotografia di matrimonio essere copiati non ti aiuta, essere bravi non paga più, anzi.
Buona luce
P.S.: ovviamente le considerazioni sono provocatorie ed è importante essere bravi e dare sempre il meglio di se. La Fotografia prima di una professione è una passione. Però è bene fermarsi un attimo a riflettere.