Qualcosa sulla Fotografia, qualcosa di me
La Fotografia, si sa, è un attimo rubato al tempo, un momento fermato all’entropia del mondo, una frazione di secondo che diventa immortale, una goccia congelata dal fiume in continuo movimento che è la vita. Una Fotografia o almeno la Fotografia che mi piace scattare e osservare non è, però, quell’immagine che si limita a ‘parlarmi’ del tempo di scatto, ma quella che va oltre, quella che mi stimola riflessioni, quella che mi riporta la mente al passato, quella che mi fa sognare un futuro, quella che parla dei miei dolori e delle mie gioie, quella che racconta un Uomo. Una Fotografia è per me un’immagine aperta dove i pensieri possono costruire o rivedere una storia, la mia storia. Non è sufficiente che uno scatto mi emozioni, i sentimenti derivanti dall’osservazione sono troppo condizionati dal ‘chi siamo’, sono troppo legati al nostro essere – le reazioni di un killer davanti all’immagine di un bambino ucciso sono diverse rispetto a quelle di una madre – ma è certamente una condizione necessaria. Piangere davanti ad uno scatto vuol dire che in qualche modo ti ha stimolato delle corde emotive forti, ma poi mi deve far pensare, deve aprirmi la mente, deve portarmi a fare delle domande, mi deve creare dei dubbi. Quando osservi un’immagine e raggiungi quella sintonia bressioniana tra mente, occhi e cuore hai davanti una Fotografia che parla all’anima dell’osservatore, una Fotografia che prende vita in modo diverso da lettore a lettore.
Talvolta la Fotografia, una certa Fotografia, assume un potere evocativo, diventa una forma retorica, una metafora. Alcune fotografie assomigliano più a dei romanzi, a delle biografie, a delle poesie. Sono una ‘scrittura’ lenta che ha bisogno del suo tempo per essere letta. Contengono un mondo intero e spesso uno non se ne rende conto al momento dello scatto. Questo è anche l’aspetto meraviglioso della Fotografia: lasciarsi trasportare dall’istinto, scattare perché senti qualcosa, sai che è lì, in quel preciso momento ed è solo per te. Ma è anche il ‘dramma’ della Fotografia perché il mondo è fluido e non puoi ricreare ciò che è successo, se non riesci a prenderlo ormai è andato. Alcune volte le immagini sono come dei treni in cui non hai fatto in tempo a salire, spariscono e te non puoi farci niente.
Credo che sia importante, anzi fondamentale, pensare prima e dopo lo scatto, ma mai durante. A razionalizzare una fotografia si rischia di incanalarla in stereotipi, di ricercare qualcosa di già visto e che sappiamo funziona. Invece quando scatti la tua mente deve essere libera, non condizionata così da permettere ai tuoi occhi di vedere. E’ per questo che è importantissimo studiare, osservare, conoscere, leggere, ascoltare. Lo scatto sarà così la sintesi di tutto quello che avrai ‘vissuto’. Più sarà vasta la tua curiosità di conoscenza e più l’immagine che otterrai sarà ‘tua’. Forse non saranno delle fotografie per tutti, forse ci saranno alcuni che avranno difficoltà a leggerle o forse no. Quando avevo 17 anni il mio professore di italiano era entusiasta degli scritti di Joyce, Dostoevskij, Foscolo mentre per me era un sacrificio il loro studio. Mi sforzavo di capirli, ma non avevo gli strumenti per farlo. Adesso me li sto rileggendo tutti e non è un caso se aprendo le pagine dell’Idiota mi sono imbattuto in una frase che avevo appena sottolineato: ‘non giudicare prima di conoscere!’
Questo percorso richiede tempo e ha poi bisogno di essere sedimentato, fatto proprio. Capire ciò che è necessario per fare della Fotografia un proprio linguaggio non è cosa semplice. Purtroppo viviamo un periodo storico che non ci aiuta, che è l’antitesi della lentezza. L’era digitale ci ha aiutato tanto e lungi da me rinnegare i vantaggi che anche nella fotografia queste nuove tecnologie hanno portato, però oggi è tutto così veloce. Siamo costantemente connessi al web, ma con il rischio di sconnettersi da se stessi. Non cerchiamo più le risposte dentro di noi, non cerchiamo più il confronto con gli altri, non ci fermiamo più a farci domande sul perché fotografiamo, su cosa sia per noi la fotografia, sul perché un’immagine nostra o di altri ci colpisce. Le risposte le vogliamo subito e usiamo la rete come fonte di verità assoluta e gli emoticons come forma di dialogo. ‘Questa contrattura del linguaggio se da un lato velocizza la comunicazione, dall’altro rende labili i significati e semplifica, riducendoli, i rapporti interpersonali evitando il coinvolgimento emotivo, l’impegno intellettivo. Possiamo lasciare la persona che non amiamo più con un semplice SMS. […] Si può fare a meno della sostanza. Non devi spiegare nulla, sapere poco o nulla.’ dice Franco Carlisi in un suo editoriale di Gente di Fotografia.
Le Fotografie ci richiedono attenzione e capacità critica cerchiamo di recuperare il tempo, il nostro tempo, per farlo.