Rana Plaza, oggi un anno fa
E’ stato il peggior disastro della storia dell’industria del tessile. Era il 24 Aprile del 2013. A fronte di un improvviso black out vennero accesi contemporaneamente tutti i generatori elettrici dell’edificio e le vibrazioni molto probabilmente combinate ai materiali scadenti fecero il disastro: il Rana Plaza collassò. Morirono 1.129 persone tra lavoratori, gente comune, soccorritori. Si continuò a scavare per 17 giorni, vennero salvate tante persone, alcune riportarono dei traumi permanenti a livello psicologico, ad altri vennero amputate braccia o gambe, altri ancora non ce la fecero e morirono lasciando nella disperazione genitori, figli, parenti e amici.
Circa 200 corpi non hanno trovato ancora un nome, ma sono sepolti nel cimitero della capitale dopo essere stati sottoposti al test del DNA. A distanza di un anno ho ripercorso i luoghi di quella tragedia. Sono andato a trovare i superstiti, a sentire come la loro vita è cambiata, quali sono i loro ricordi dopo 12 mesi dal collasso e quali siano le loro speranze per il futuro. Sono stato negli ospedali – CRP Center Rehabilitation of Paralized in particolare – a trovare coloro che ancora aspettano degli arti artificiali per tornare a casa; nei centri di recupero mentale dove stanno facendo un percorso psicologico per cercare di superare lo shock; nelle abitazioni di coloro che ancora aspettano un risarcimento dal governo.
Sono stato a trovare alcuni più fortunati che sono stati reintegrati in un’altra fabbrica di tessuti. Ho ripercorso con alcuni volontari e vigili del fuoco i momenti più drammatici del giorno e di quelli successivi alla tragedia. Ancora nei ricordi di ognuno di loro tornano prepotenti le urla di chi chiedeva aiuto, di chi supplicava di amputargli una gamba o un braccio pur di tirarli fuori da sotto le macerie. Molti sia superstiti che soccorritori non riescono più a stare in luoghi chiusi e qualsiasi forte rumore li paralizza.
Sono stato alla BGMEA – la più importante associazione di industrie tessili del Bangladesh – dove mi sono fatto raccontare quanto hanno fatto e quanto stanno ancora facendo sia per aiutare i superstiti che per rilanciare il commercio del settore ancora in crisi a causa del disastro.
Sono stato al ‘Ground Zero’ dove rimane un grande spazio vuoto e dove ancora oggi la gente scava in cerca di ‘qualcosa’ mentre altri vengono come in pellegrinaggio per ricordare i loro cari.
Questa serie di foto sono un omaggio a coloro che hanno ripreso a vivere, a coloro che hanno soccorso chi soffriva, a coloro che hanno perso dei figli, un padre, una madre o un amico, a coloro che continuano ad aiutare chi sta ancora cercando di superare lo shock. Sono anche un invito a non dimenticare, perché in futuro non accadano più tragedie del genere, tragica conseguenza del ‘profitto’ ad ogni costo.
Buona luce
P.S.: abbiamo intervistato numerose persone tra sopravvissuti, medici, volontari, vigili del fuoco, istituzioni, padri e madri che hanno perso i propri figli, le loro storie sono a disposizione di coloro che ne faranno richiesta.