L’altra faccia della Fotografia
‘Mi hanno arrestato, ma sto bene’. Queste le parole di Mattia Cacciatori dopo essere stato fermato dalla polizia turca mentre stava facendo il suo lavoro. Mattia è un fotoreporter, ma prima di tutto è anche un caro amico. Ci siamo conosciuti in Mongolia durante un mio workshop e dopo quel viaggio la passione per la fotografia è diventata per lui un’esigenza. Mi ha seguito nuovamente in Tanzania e poi ha iniziato a lavorare nel mio studio e tuttora lavoriamo insieme. Anzi, per quanto riguarda la fotografia di cerimonia, abbiamo aperto una sorta di sede distaccata in quel di Verona. Ma la sua passione è quella fare il fotoreporter di guerra ed ecco che alla prima occasione, parte per la Palestina dove incontra Masturzo e la Ghizzoni con i quali condivide un’esperienza umana e lavorativa in quell’area documentando l’ultima intifada. Ci torna pochi mesi dopo per raccontare le elezioni in Israele. Poi decide di partire per Istanbul e, dopo alcuni giorni, si trova in piazza Gezy a fotografare le manifestazioni anti Erdogan e dopo poco l’arresto.
Quanto è accaduto a Mattia mi dà lo spunto per affrontare un aspetto talvolta non così evidente della mia professione. Sono consapevole di fare uno dei lavori più belli del mondo e soprattutto di fare ciò che voglio e amo. E’ una fortuna che professionalmente capita a pochi. Spesso mi sento invidiato, molti vedono il mio essere in giro, il mio continuo viaggiare come un modello da imitare. Sembra tutto così facile così straordinariamente bello. Entro in contatto con culture diverse, vedo posti incredibili, spesso e soprattutto durante i matrimoni ho l’opportunità di vivere location incantevoli, di mangiare e dormire in luoghi altrimenti fuori dalle mie possibilità, di incontrare persone più o meno famose. Però la fotografia non è solo questo. Ecco l’esperienza di Mattia. Fortunatamente la sua avventura si è conclusa positivamente, ma come non pensare a Ochlik, Hetherington. Come non riflettere sul suicidio di Carter dopo aver vinto il Pulitzer o sulla Woodman e la Arbus entrambe troppo sensibili da non riuscire più a sopportare quei loro conflitti interiori che drammaticamente emergono dai loro scatti.
Dalla maggior parte dei post sui social network, si leggono immagini di luoghi straordinariamente belli, di matrimoni oggi a Capri, domani sul Lago di Como, tra tre giorni a Venezia e il week end successivo in un agriturismo nel Chianti. Che figata! Voglio fare il fotografo. Ma la fotografia non è solo questo. Ti ritrovi a non dormire la notte al pensiero di non aver soddisfatto appieno la coppia. Ti alzi con l’angoscia di arrivare puntuale alla cerimonia. Ti ritrovi da solo una domenica di luglio in studio perché devi consegnare il lavoro di lì a poco. Torni a ‘casa’ e ti metti davanti al computer per rispondere a email e fare preventivi. Non fai in tempo a disfare la valigia che devi ripartire, magari per quindici, venti giorni. Non faccio il reporter di guerra quindi ‘non me le vado a cercare’ come direbbe qualcuno, ma solo due mesi fa ero in quel di Bodh Gaya in India dove recentemente sono esplosi due ordigni. Ero a San Paolo poco prima delle violente manifestazioni. Ho alloggiato a Mumbai nello stesso albergo dove terroristi indiani hanno fatto strage di turisti. Sono stato a Marib in Yemen dove di lì a poco un’autobomba ha trucidato degli escursionisti spagnoli la cui unica colpa era quella di essere in vacanza. Ho visto morire tra le braccia di sua madre una bambina che era stata travolta dal pulmino, guidato a velocità folle, da colui che mi accompagnava – dileguatosi subito dopo l’incidente -, mentre stavo raggiungendo Saigon, in Vietnam.
Credi di avere una casa, ma non la senti più tua. Ti ritrovi solo, a piangere, perché le tue figlie ti chiedono attenzione, ma te non hai tempo per giocare con loro. Cerchi di dare un senso ai tuoi affetti, ma li senti scivolare via, dissolversi lentamente come ghiaccio al sole.
Non cambierei il mio ‘lavoro’ con nessun altro al mondo, ma voglio ricordare a tutti che anche la fotografia ha un’altra faccia.
Buona luce